Tradizione e ricerca per "alimentare" l'economia

Il cibo è il futuro dell’economia.
Se si può rinunciare a un’auto o a uno smartphone, non si può rinunciare ad
alimentarsi. Non a caso durante i periodi peggiori della pandemia l’unico
settore economico in crescita è stato quello dell’agroalimentare. E non è certo
residuale, venendo dalle parti di casa nostra, che negli ultimi anni 7mila
giovani abbiano deciso di diventare imprenditori agricoli.
Un’ulteriore conferma è
venuta da un’analisi della Coldiretti, presentata in occasione del Cibus, l’importante
salone internazionale dell’alimentazione che si è tenuto nella prima settimana
di maggio a Parma. Dall’indagine emerge che il cibo è diventato la prima
ricchezza dell’Italia, con un valore di 575 miliardi di
euro nel 2021, +7% rispetto all’anno precedente, oltre un quarto del Pil
nazionale. Si
mangia sempre più italiano, biologico e locale. E il trend non si ferma. Nei
primi due mesi del 2022 le esportazioni di prodotti alimentari “made in Italy” sono cresciute del
21,6%, un vero e proprio record, che si somma al record fatto registrare nel
2021 dall’export alimentare pari a 52 miliardi di euro. La domanda di
agroalimentare italiano cresce in tutto il mondo: Cina +32,7%, USA +14,3%,
Spagna +19,6% e così via. Certo ora gli aumenti a tre cifre causati dalla
guerra in Ucraina, rischiano di far calare il gelo su questa crescita
galoppante.
Un esempio? Basta
guardare quello che sta accadendo in Puglia per rendersene conto. Prendiamo il
caso di una delle produzioni tipiche della nostra regione: il pomodoro. La produzione di
pomodoro in Puglia, con la provincia di Foggia in testa, interessa 17.170
ettari, con 14.782.950 quintali e rappresenta oltre il 70% della superficie
coltivata a pomodoro in tutto il Sud Italia. Sempre secondo la Coldiretti, i costi di
produzione sono aumentati complessivamente del 35% e alla fine in una bottiglia
di passata di pomodoro il valore riconosciuto al prodotto, cioè la passata di
pomodoro è appena dell’8%, vale di più la bottiglia in vetro (10%) che il
contenuto, mentre il 53% è il margine della distribuzione commerciale con le
promozioni.
È evidente che servono
accordi di filiera, contratti in grado di remunerare i produttori, ma serve
anche altro: intervenire sui costi, a partire dall’incremento di produzione di energia
elettrica da fonti rinnovabili per il settore agricolo. Ma bisogna spingere
ancor più sull’innovazione, sul connubio tra ricerca e tradizione, per
migliorare non soltanto le produzioni, ma l’intero ciclo produttivo, consentendo
risparmi e razionalizzazione dei consumi. Ad esempio, il Consorzio di tutela
del Grana padano ha presentato al Cibus un sistema di supporto alle decisioni
per risparmiare energia e diminuire gli sprechi. Un software realizzato da
Politecnico di Milano, Università Cattolica
del Sacro Cuore di Piacenza, Fondazione Qualivita, Cniel, Enersem e oriGIn, che
unisce il calcolo dell’impronta ambientale con l’identificazione di misure
concrete e specifiche per ridurre i consumi di energia. Si potranno così
migliorare le performance ambientali nelle aziende agricole, l’efficienza
energetica nel caseificio, la conservazione del prodotto e la riduzione dello
spreco alimentare.
Accelerare su
innovazione e ricerca è l’unica strada possibile per evitare che la frenata diventi
una fermata. Tenendo anche conto che gli aumenti dei prezzi di cibo e bevande
non hanno soltanto un impatto economico. Quando, secondo le rilevazioni
ufficiali, il prezzo del pane aumenta dell’8,4%, la pasta +14,1%, la farina
+17,2%, il burro +15,7%, la verdura fresca +12%, le uova +9,3%, il problema è anche,
e soprattutto, sociale.