San Nicola, Bari, l’ecumenismo. È vera gloria?
Ce lo chiediamo da tempo, tanto più quest’anno in cui, magari, mancheranno
tanti momenti del culto pubblico al santo, così come quelli più legati agli
aspetti folkloristici e spettacolari, pure sentitissimi dai baresi. La gloria,
sia chiaro, c’è per quel che riguarda l’ambito storico. È cioè indubbio che
Bari, città naturalmente e geograficamente votata ad Oriente ed al confronto
con le culture, anche poi grazie alla presenza delle reliquie del santo di
Myra, abbia potuto riconoscersi in questa fama.
Bari come città avamposto. Da qui anche la capacità di aver segnato tappe fondamentali lungo il cammino di una possibile riconciliazione (o quantomeno disgelo) tra cattolici ed ortodossi, comunità quest’ultima già profondamente divisa al proprio interno da secolari conflitti.
Questa è dunque Bari con l’occhio alla storia.
Ma oggi? Quanto si è degni di questa stessa storia? Ce lo siamo chiesti anche
l’anno scorso. Quest’anno, poi, una ricorrenza di una certa importanza. Bari
celebra, infatti, il 1750° anniversario della nascita di san Nicola e il 933°
della traslazione (il famoso “sacro furto”) delle reliquie dall’attuale Turchia
ad opera dei celebri 62 marinai, il 9 maggio 1087. Le celebrazioni –per quel
che si potrà fare, ne parliamo nel box a lato- continueranno fino al 9. Dunque,
Bari, al di là dei richiami di giorni di festa in onore del “suo” santo, festa
anche liturgica (6 dicembre), può davvero dirsi con pienezza “città ecumenica”
pure durante il resto dell’anno? Ma di un ecumenismo che indichi serenità tra
le posizioni, gli sguardi, i rapporti anche all’interno del tessuto connettivo?
Né ci riferiamo alla sola coscienza di fede, allargando necessariamente il
discorso alla città tutta. Utopia, pie speranze, sogni? Può darsi, ma le parole
hanno (o dovrebbero avere) un senso. E allora ci si chiede che fine faccia,
durante il resto dell’anno, una retorica che, pur sicura nella storia, zoppica
oggi nel presente. Del resto, quella di Nicola non è un’eredità semplice. San
Nicola non è un santo “qualsiasi”. Egli, tanto per cominciare, è il santo più
commemorato nelle liturgie cristiane, che siano d’Oriente e che siano
d’Occidente, vale a dire il più citato, il più ricordato. È poi il santo più
presente nell’iconografia sacra mondiale, subito dopo i santi cosiddetti
“biblici”, ossia apostoli e figure del Vecchio e del Nuovo Testamento. Ancora.
San Nicola, ci dice la tradizione, è stato il primo santo ad essere proclamato
tale per meriti di rettitudine e moralità cristiana in vita e non per
l’elemento del martirio, com’era stato fino al suo tempo. E come Bari accoglie
e fa suoi tutti questi primati del suo santo? Abbiamo sentito il parere di un
giornalista pubblicista e studioso, Paolo Scagliarini, avvocato, direttore
responsabile della rivista di approfondimenti “La Fiaccola”, edita da La
Matrice, pubblicazione che da anni propone le riflessioni e le ricerche
dell’intellettualità cattolica cittadina e pugliese (Nicola Bux, Roberta
Simini, Antonio Calisi, Antonio Bosna).
Nel 2020 cosa può significare avere in città le
spoglie di san Nicola? Chiediamo. “Certamente la presenza del santo a Bari,
quale figura più venerata dai cristiani ortodossi, fa del capoluogo un centro
di notevoli frequentazioni e pellegrinaggi, dunque di incontro non solo
religioso ma anche potenzialmente culturale, economico e commerciale –
sottolinea subito Scagliarini- e i baresi in questo, nella storia, hanno dato
lezioni. Tutto ciò fa della città un luogo simbolo della ricongiunzione intorno
ad un testimone eccellente della fede ed infatti sono tantissime le iniziative
intraprese nei decenni dai padri domenicani che curano la Basilica di San
Nicola”.
Questo ruolo di
luogo simbolo è ormai universalmente riconosciuto, tant’è vero che gli ultimi
tre papi sono venuti in città -e per più di una volta- proprio per incontrare i
rappresentanti della chiesa ortodossa. Ma poi che segni lascia tutto ciò? Nella
realtà cattolica e laica della città stessa?
“San Nicola ha reso Bari un luogo nel quale le
chiese possono parlare sentendosi a casa propria – prosegue Scagliarini - ma il
rischio che si corre è che diventi luogo di incontri per gli addetti ai lavori,
una city della religione nella quale la città ed il popolo siano lasciati ai
margini degli incontri e dei dialoghi che così finiscono per isterilirsi
divenendo occasioni meramente diplomatiche. San Nicola, quale difensore della
fede, pensiamo al suo ruolo contro l’eretico Ario, merita un popolo che faccia
attenzione alle cose di lassù così come è attento a quelle di quaggiù”.
In più, a proposito delle difficoltà
dell’ecumenismo, urge anche una piccola riflessione, fuor di parole di
facciata. Si tratta infatti di un tema che vive alcuni imbarazzi. Benedetto
XVI, con la lucidità di fine teologo, con non poco coraggio, ha sempre invitato
a non dimenticare le oggettive difficoltà culturali che talvolta precludono la
strada ad un effettivo dialogo, specie nel dialogo tra religioni diverse, ma
anche tra cristiani. Si può parlare, si parla, salvo arrivare sempre al punto
di non ritorno, quando le divisioni si fanno insormontabili.
Tornando a Bari, strategica poi anche la
questione del Mediterraneo. L’ultimo arrivo di papa Francesco in città lo ha
dimostrato (anche di questo parliamo nel box).
Il capoluogo della Puglia interpreta da sempre
il ruolo anche di capitale della solidarietà, si pensi a quanto successo nel
1991 con l’arrivo di migliaia di albanesi oppure, estendendo il discorso a
tutta la regione, a quanto ancora succede con lo sbarco di rifugiati e
migranti, specie sulle coste salentine. Un lascito che giunge, come si è visto,
dalla storia, se si vuole anche grazie al nostro san Nicola. Ma è una consegna
che la storia riceve, come spesso capita alle dinamiche delle vicende umane,
pure dalla collocazione geografica di un territorio. E Bari è lì, slanciata ad
Oriente. Terra da dove nella storia si è partiti, ora alla ricerca di un santo,
ora costretti all’emigrazione. Terra dove ora si arriva, terra vista come
spazio di speranza. Qui dunque l’approdo e qui il dialogo con altre culture.
Chiudiamo come abbiamo cominciato, con una domanda. La città è consapevole di
tutto ciò nella vita di ogni giorno o sono solo le emergenze a doverci
ricordare questa speciale “missione”?
Un interrogativo che permane.