Questa volta cominciamo dalla fine. Insieme al lettore
dobbiamo in sostanza decidere se dopo la ricostruzione (che stiamo per fare)
il...bicchiere va valutato mezzo vuoto o mezzo pieno. Perché, come spesso
accade, di fronte ad un percorso avviato è fuori discussione che siano stati
fatti passi avanti, ma è anche vero che in una situazione nazionale complessiva
non siamo mesi benissimo per tutta una serie di motivi che andremo ad
individuare.
Il tutto, strombazzato dalla grancassa in servizio
permanente effettivo come se fosse l’ennesimo grande successo di gestione
amministrativa ed ovviamente come se fossimo nel solito…Eden che dovrebbe farci
dire davanti allo specchio “beati noi”.
Ma andiamo con ordine. Innanzitutto, l’oggetto: Bari e le
piste ciclabili. E’ evidente che se si prova a fare un pur minimo paragone con
quanto accade nel nord Europa, anche in città meno grandi del capoluogo, oppure
in alcuni comuni del Settentrione d’Italia, non c’è partita. Noi siamo in serie
C, e gli altri sono in A o addirittura in Champions League. Anche se, come la
nostra amata squadra di calcio, stiamo risalendo la china. E’ infatti
innegabile che molto sia stato fatto e che gli sforzi profusi finora abbiano
prodotto qualche risultato. Tenendo conto soprattutto che anche in questo
settore Bari non è partita da zero, ma almeno da “meno dieci”. Chi ha
viaggiato, chi ha visto le piste ciclabili di altri luoghi d’Italia e del
continente, fa certamente fatica a catalogare sotto la stessa dicitura le
scelte fatte a casa nostra. Ma si sta lavorando, per quello che è possibile.
MEZZO VUOTO. Dallo scorso mese di aprile Bari è diventata
città “Bike friendly”. Ovvero, sulla carta, a misura di bicicletta. Ha infatti
aderito al progetto “ComuniCiclabili” della Fiab (Federazione italiana ambiente e bicicletta), ottenendo
per la prima volta la bandiera gialla che certifica il grado di ciclabilità dei
territori e accompagna le amministrazioni nello sviluppo di politiche di
mobilità sostenibile con riferimento alle biciclette. Ma al contrario di quanto
sostenuto da alcuni organi di stampa, la bandiera gialla non è di fatto un
premio ma piuttosto l’equivalente della tessera di iscrizione al programma. La
qualità di quanto offerto, ed i passi avanti fatti, sono infatti testimoniati
dalle cosiddette “Bike smile”, ovvero le biciclette stampate sulla bandiera
stessa, fino ad un massimo di cinque. Bari, avendo appena cominciato, ne ha
solo una. Quindi, il pane duro da mangiare non è poco…
Qualcuno ha parlato di “rivoluzione”, abusando del
termine. Perché se è vero che i numeri sono in costante aumento con percentuali
significative (oltre il 50% in più tra l’estate 2021 e l’estate 2020) è anche
vero che essendo partiti da zero è per certi versi fisiologico che nella prima
fase si proceda a grandi passi. Che poi, si traducono in 1.617 baresi
(circa un terzo sono donne) dal luglio 2019. Ovvero, in poco più di due anni e
mezzo. Considerata la popolazione di circa 300mila abitanti ed il fatto che
durante la giornata feriale gravita sul capoluogo una popolazione stimata di
poco inferiore al milione di persone, sono francamente un po’ pochini. La
rivoluzione, insomma, è un’altra cosa…
Non felicissimo, poi, risulta il paragone con le altre
realtà italiane. Lasciamo perdere quelle che hanno già cinque Bike smile come
Bolzano, Cesena, Ferrara e Pesaro (più altri cinque comuni minori su un totale
di 161 centri italiani iscritti al programma). Ma diciamo che il percorso è da
costruire. Piuttosto, nella classifica nazionale dei metri equivalenti di piste
ciclabili delle città Bike friendly, Bari è al 58° posto con 4,778 e non è
neanche la prima delle pugliesi. Lecce è 39° con 10,949; Foggia 44° con 7,509.
Poi, dovremmo guardare alla sostanza di quelle che definiamo
“piste ciclabili”. Alcuni interventi sono a dir poco discutibili, come la pista
sul marciapiede del lungomare Vittorio Veneto, verso Fiera del Levante e Cus
(che serve più ai podisti che ai ciclisti) oppure quella – contestatissima – di
corso Mazzini. Che a conti fatti consente lo scorrazzare dei motorini più che
delle biciclette e che per giunta ha finito col restringere la carreggiata su
una strada largamente trafficata e fondamentale per l’uscita o l’entrata in
città verso nord. Senza considerare che spesso (soprattutto agli angoli)
diventa area di parcheggio per le auto. Per non parlare del clamoroso ed
incontestabile fallimento del bike sharing, che nella nostra città resta
un’utopia. Anche perché in parte soppiantato dall’uso dei monopattini.
MEZZO PIENO. La battaglia della bici che si combatte a Bari non è una
battaglia facile. Innanzitutto perché il centro cittadino, da Madonnella al
Libertà, è stato urbanisticamente pensato con altri criteri, in un’epoca in cui
la bicicletta non era neanche nei pensieri di chi lavorava alla costruzione
della città. Però si può operare e lo si sta facendo, speriamo con la
consapevolezza di cui sopra. Ed è positivo che il capoluogo abbia aderito al progetto
“ComuniCiclabili” e che sia il primo del Mezzogiorno d’Italia ad averlo fatto.
Poi va dato atto: il sindaco Antonio Decaro è persona che non si
arrende. A gennaio 2019 nell’ambito del progetto “Muvt” si è puntato sulla
carta del rimborso chilometrico ai cittadini che utilizzano la bicicletta come
mezzo per i propri spostamenti. È stato inoltre pubblicato il bando che
seleziona i rivenditori di biciclette dai quali è possibile acquistare una bici
con il contributo del Comune di Bari.
Da non dimenticare il bici plan che lo stesso Comune ha
approvato a marzo 2017, che prevedeva 14 nuove piste ciclabili per collegare le
zone periferiche col centro città con un finanziamento complessivo da 4,9
milioni di euro. Un progetto piuttosto complesso formato da due lotti: il
primo, da 2,5 milioni di euro, comprendeva i quartieri Picone, Poggiofranco,
Carrassi e San Pasquale; il secondo, da 2,4 milioni di euro, prevedeva la realizzazione
dell’itinerario del mare a nord di Bari. Poi c’è il progetto Costa Sud, ancora
in fase embrionale, ma che è destinato a far cambiare volto alla città.
Nel frattempo,
abbiamo quella che pomposamente chiamiamo “pista ciclabile light” in corso
Vittorio Emanuele (2,5 km. complessivi senza cordoli), il percorso sotto il faro di San Cataldo, di un km
monodirezionale, e il recente percorso sul lungomare Nazario Sauro.
E i progressi hanno fruttato a Bari una collocazione di
riguardo nel dossier “CovidLanes” di Legambiente nel quale si dà atto alla
città di essere 14° tra le prime venti in Italia che nel 2020, in piena
pandemia, hanno meglio lavorato per realizzare piste ciclabili. 3,5 km nel
nostro caso, a fronte dei 35 di Milano, dei 30 di Genova, dei 15 di Roma,
Brescia e Torino, degli 11 di Cagliari e dei quasi 10 di Bologna. Secondo
Legambiente, Bari dispone al momento di 45,7 km. di piste ciclabili con
l’obiettivo di attivare altri157 km secondo quanto previsto dal Pums (Piano
Urbano di Mobilità Sostenibile). Bologna, che dispone già di 248 km. di piste
ciclabili, ne prevede altri 721 chilometri. Ma è la punta dell’iceberg. Diciamo
che siamo indietro rispetto a molte città meno popolate ma siamo al passo col
resto. Se si escludono Roma e Milano (per popolazione residente ed estensione)
e Parma (fuori…concorso come Bologna, con 125 km. esistenti e 170,5 da realizzare),
alla fine dovremo essere in linea, considerate anche le caratteristiche
urbanistiche cittadine.
Insomma, è come se fossimo di fronte ad una asperità da
scalare. Per una serie di motivi ovvi e facilmente comprensibili non si può che
andare verso una mobilità sempre più sostenibile. Ovviamente, creando
contestualmente anche una cultura della bicicletta, perché avere le piste
ciclabili e poca gente che le utilizza finisce con l’essere utile solo a chi
deve appuntarsi le medagliette al petto. Ed è soprattutto su questo che
bisognerebbe lavorare perché andare in bici sarà anche ecologico, ma non vuol
dire fare i propri comodi in barba a tutte le regole del Codice della strada. Non serve parlare di mobilità alternativa
se non esiste la cultura per supportarla. Abbiamo voluto la bicicletta? Adesso
dobbiamo pedalare…