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Abbandono scolastico alla Puglia un triste primato

Ha appena preso il via quello che, si spera, dovrebbe essere il primo anno scolastico post pandemia. Si ritorna all’antico: via le mascherine, niente più quarantene, distanziamento annullato. Se c’è la possibilità, della scuola in epoca Covid verrà conservata l’areazione degli ambienti a cadenze regolari; ma non è detto che ci sia la possibilità.


Tutto come prima? Sì. Nel bene, ma anche nel male. Già, perché la scuola italiana, ormai da ben prima del Covid, non gode di ottima salute. Uno dei problemi più gravi è certamente l’abbandono precoce da parte di una grossa fetta studenti, che una volta espletato l’obbligo scolastico (alla fine del primo biennio della secondaria di secondo grado) prendono altre strade senza conseguire il diploma.


Una fotografia aggiornata dello stato dell’arte l’ha fornita la fondazione indipendente Openpolis che, insieme alla fondazione Con i bambini, ha preso in esame i dati Eurostat sull’abbandono scolastico. Premessa doverosa: l’obiettivo espresso nell’agenda 2020 dell’Unione europea era di contenere i tassi di abbandono scolastico sotto la soglia del 10%. Al 2021, l’Italia “vanta” un 12,7% di giovani tra 18 e 24 anni che hanno lasciato gli studi o la formazione prima del tempo. Percentuali alte, che ci fanno essere terzi nella graduatoria europea, dietro solo a Spagna (13,3%) e Romania (addirittura 15,3%); l’Italia è sopra a Bulgaria (12,2%) e Ungheria (12%). Sorprende, tuttavia, che dietro la lavagna finisca anche la “locomotiva” Germania: nell’11,8% dei casi i ragazzi tedeschi non hanno completato gli studi. A ogni buon conto, l’Italia appare (come spesso capita) indietro rispetto ad altri paesi europei più virtuosi: il Portogallo (5,9%), la Grecia (3,2%), l’Irlanda (3,3%), i Paesi Bassi (5,3%), la Repubblica Ceca (6,4%), la Polonia (5,9%) e la Lituania (5,3). I migliori di tutti fra i paesi comunitari sono i ragazzi croati e sloveni, che abbandonano anzitempo la scuola solo nel 2,4% e nel 3,1% dei casi.


A un risultato così modesto del nostro Paese, tuttavia, contribuisce in maniera sostanziale il Sud Italia. Openpolis e Con i bambini hanno elaborato i dati Istat per stilare la classifica interna allo “Stivale”; non sorprende dire che la Puglia è al secondo posto con un tasso del 17,60% di abbandono scolastico nel 2021. Peggio di noi pugliesi fa solo la Sicilia, che l’anno scorso ha registrato l’esorbitante tasso del 21,20% di giovani tra i 18 e i 24 anni che sono in possesso della sola licenza media. Al terzo posto figura la Campania, con un tasso di abbandono scolastico pari al 16,40%. A interrompere un “monologo” quasi esclusivamente meridionale c’è la Valle d’Aosta al quarto posto (14,10%), poi Calabria (14%), Sardegna (13,20%) e Liguria (12,90%). A conti fatti, «Sono 5 le regioni al di sotto della soglia del 9%: Basilicata (8,7%), Friuli-Venezia Giulia (8,6%), Abruzzo (8%), Marche (7,9%) e Molise (7,6%). In aggiunta a queste, altre 3 sono comunque sotto quota 10%. Si tratta di Emilia-Romagna (9,9%), Veneto (9,3%) e Lazio (9,2%)», nota Openpolis. Non è difficile rendersi conto che, in termini assoluti, la situazione al Centro-Nord appare radicalmente diversa rispetto a quella del Mezzogiorno.


E, inoltre, deve far riflettere il fatto che la Puglia si trovi così alta in questa poco edificante classifica. Sì, perché i nostri capoluoghi sono tra quelli che fanno registrare una maggiore concentrazione percentuale di ragazzi e ragazze tra i 6 e i 18 anni nel 2021. Giusto per farsi un’idea, i territori in cui la presenza di bambini e ragazzi in età formativa è maggiore sono la città metropolitana di Napoli (14,49%), la provincia di Caserta (14,09%), l'Alto Adige (13,71%) e il crotonese (13,60%). Mentre non raggiunge il 10% la provincia di Oristano (9,76%), e lo superano di poco il Sud Sardegna (10,03%), il triestino (10,19%) e il ferrarese (10,21%).


Bene, nella città di Bari bambini e ragazzi in età formativa valgono l’11,52% dell’intera popolazione; poco meno che a Roma (11,98%), certamente più che a Milano (11,18%), Torino (10,76%), Firenze (10,75%), Genova (10,55%) e Bologna (10,06%).


E le percentuali crescono ancora se si guarda agli altri capoluoghi pugliesi: i giovani tra i 6 e i 18 anni sono il 12,69% della popolazione di Foggia, il 14,21% ad Andria, il 13,54% a Barletta, il 13,09% a Trani, 12,51% a Brindisi, il 12,34% a Taranto e l’11,21% a Lecce.


Secondo la studiosa Maddalena Colombo (“Abbandono scolastico in Italia. Un problema serio, molti circoli viziosi e qualche strategia di prevenzione”, in “Scuola democratica” vol. 2 maggio-agosto 2015, Il Mulino, ente di riferimento Università della Calabria), manca «In Italia, al livello delle politiche di intervento, una visione aggiornata, condivisa e onnicomprensiva del fenomeno (alla base di una broad policy), mentre si sovrappongono piani di azione circoscritti (targeted policy), spesso basati su nozioni convenzionali, obiettivi troppo ristretti, oppure vaghi e idealistici (es. ‘riportare tutti a scuola’)».


Ancora Colombo, nel suo studio accademico, nota che «L’approccio al giovane drop-out risulta quindi ancora in larga parte casuale, basato sull’idea che il disperso debba riparare ad una ‘colpa’ per non aver sufficientemente corrisposto alle attese sociali in termini di skills. Indicatori tangibili di questo approccio sono i ben noti vizi del welfare locale, che oscilla da una retorica familistica e privatistica, ad un’attesa assistenzialistica: tendenza a fornire risposte pre-confezionate (ad esempio, recarsi al tal servizio identificato come un centro di raccolta di soggetti vulnerabili) che finiscono per etichettare il soggetto e per sollevare la collettività da ulteriori responsabilità di accompagnamento; scarsa visibilità e impropria collocazione di alcuni servizi o dispositivi, spesso non cercati o richiesti dall’utente che ne ha bisogno; mancanza di comunicazione tra scuola e servizi o tra i servizi territoriali sul percorso intrapreso dai soggetti; presa in carico parziale del soggetto e mancanza di chiarezza su chi è titolare dell’intervento, ecc. In sostanza, molti micro-interventi hanno luogo ‘a valle’ dei problemi rilevati, ma è raro che forniscano un feedback utile a trasformare tale intervento in una politica ‘a monte’. Anzi, si osserva il seguente circolo vizioso: si agisce poco perché non si conoscono le cause interrelate dell’abbandono; si agisce per tamponare l’emergenza educativa, per cui il risultato è contingente, non serve per imparare dall’esperienza e si continua ad agire sbagliando».

I materiali per la scuola più cari del 7%


Anche la scuola rientra a pieno titolo tra le “vittime” dei rincari del costo della vita. Secondo il Codacons, per diari, astucci, zaini e materiale scolastico vario (quaderni, penne, matite, gomme, pennarelli, ecc.) i prezzi sono in rialzo del 7% rispetto allo scorso anno. Alla base dei forti rincari vi sono diversi fattori. In primo luogo il caro-energia, che aggrava i costi di produzione del materiale scolastico portando ad un rialzo dei listini al dettaglio. Poi, la crisi delle materie prime, con le quotazioni di carta, plastica, tessili e adesivi che hanno subito sensibili rialzi nell'ultimo anno. Infine, i costi di trasporto determinati dall'aumento dei carburanti.

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